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Giudici di cassazione

RESPONSABILITÀ MEDICA E CONSENSO

L’eliminazione della malattia e la completa guarigione non sono mai in grado di compensare la lesione della libertà di autodeterminazione del paziente quando l’atto terapeutico non è stato preceduto da completa informazione e assentito con un consenso libero e consapevole.

Con la sentenza n° 12205 del 12 giugno 2015, la Sezione III Civile della Corte Suprema di Cassazione, annullando una decisione della Corte d’Appello di L’Aquila e confermando orientamenti giurisprudenziali consolidati in materia di responsabilità civile medica, ha colto l’occasione per precisare quali siano i danni risarcibili derivanti dall’attività del medico esercitata in assenza di un valido consenso informato rilasciato dal paziente.

La vicenda riguarda una donna che, sottopostasi ad intervento chirurgico per l’asportazione di una cisti ovarica, al risveglio ricevette la notizia di aver subito una laparatomia, un’isterectomia totale, un’annessiectomia bilaterale, un’appendicectomia ed un’omentectomia per la presenza di un adenocarcinoma maligno non diagnosticato in precedenza e successivamente confermato come maligno alla biopsia.

La paziente si era rivolta all’autorità giudiziaria lamentando la violazione del diritto ad essere informata e a prestare il consenso all’intervento demolitivo cui era stata effettivamente sottoposta in assenza di situazioni di urgenza ed allegando anche la colpa del chirurgo, che aveva asportato anche l’utero seppur esso, sulla scorta di esami successivi, fosse risultato immune dalla patologia cancerosa.

La Corte d’Appello di L’Aquila aveva respinto le richieste di risarcimento della donna, affermando che quando il medico, senza prima acquisire il consenso informato (anche quando esso sia acquisibile perché non ricorre lo stato di necessità ed il paziente non si trova in uno stato di incapacità), esegue correttamente un intervento chirurgico che si riveli risolutivo della patologia che il malato dimostrava, non provoca alcun danno concretamente risarcibile, in quanto la lesione del diritto del paziente ad esprimere il consenso informato sarebbe giustificata o, comunque, compensata dal vantaggio che il paziente stesso consegue con l’eliminazione della patologia.

Secondo la Corte Suprema, invece, il ragionamento adottato dai Giudici del merito è del tutto errato ed in proposito deve ritenersi che:

- qualunque atto medico realizzato senza la preventiva acquisizione del consenso del paziente, costituisce lesione al suo diritto di autodeterminazione e ciò vale sia nel caso di un atto medico che si realizza attraverso un’ingerenza fisica (come l’intervento chirurgico) sia nel caso di un atto che consista in una semplice intromissione nella sfera psico-fisica del paziente (come l’attività persuasiva, ad esempio, del medico psichiatra);

- da tale lesione derivano molteplici “danni – conseguenza”, fra i quali:

- la privazione della possibilità di scelta tra il sottoporsi ed il non sottoporsi all’atto medico, anche a costo di andare incontro alla morte;

- la privazione della possibilità di riflettere sulla terapia proposta e di accettarla successivamente;

- la privazione della possibilità di rivolgersi ad altri medici per ottenere altre diagnosi ed informarsi sull’esistenza di altri percorsi terapeutici;

- la privazione della possibilità di sottoporsi alla terapia proposta presso altra struttura;

- la privazione della possibilità di prepararsi ad un intervento fortemente demolitivo ed accettarne con minor sofferenza le conseguenze, avendo il tempo per riflettere e prepararsi ad esse.

A quest’ultimo proposito, nella sentenza in commento è affermato che l’informazione cui il medico è tenuto al fine di raccogliere il valido consenso del paziente, inoltre e non da meno, ha la funzione, ove il consenso sia effettivamente prestato, di determinare nel paziente l’accettazione delle conseguenze non gradite legate all’atto medico, in una sorta di condivisione della stessa speranza del medico che tutto vada bene e che non si verifichi quanto di male potrebbe capitare, perché inevitabile. Il paziente che sia stato posto in questa condizione di alleanza terapeutica con il suo curante, accetta preventivamente il rischio di un esito sgradevole e, se questo si verifica, avrà anche una minor propensione ad incolpare il medico. Se anche lo facesse, però, il medico non sarebbe tenuto a risarcirgli alcun danno sotto il profilo del difetto di informazione, ferma la sua eventuale responsabilità per profili legati a colpa nell’esecuzione dell’intervento. Se il paziente non è stato convenientemente informato, invece, egli subisce l’atto terapeutico come perdita della propria libertà personale.

Secondo la Corte Suprema, tali “danni – conseguenza” non possono in alcun modo essere compensati dall’eliminazione della patologia.

In ultimo, la Cassazione individua un ulteriore profilo di censura nella decisione della Corte d’Appello di L’Aquila, per aver contraddittoriamente affermato, da un lato, la validità dei risultati della biopsia che escludeva la presenza di neoplasie nell’utero della paziente e, dall’altro, aver respinto la sua richiesta di risarcimento affermando che, invece, doveva ritenersi che tutti gli organi asportati, compreso l’utero, fossero colpiti da neoplasia.

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